Il Fenicottero fuggiasco

Pomeriggio al mare insieme a moglie e figlia, solita sessione infinita ed estenuante di tuffi: testa, carpiato, bomba a clanfa, bomba all’americana, tavoletta, capriola; insomma quasi un’ora di sali e scendi dal molo e l’età comincia a farsi sentire e il fiato scarseggia.

In mare una bambina di 7-8 anni cavalca un enorme fenicottero rosa inappropriatamente sgonfio che a un certo punto inabissa il lungo collo sotto il peso non troppo centrato della bambina.

La brezza che accompagna il tardo pomeriggio prende immediatamente possesso del destino dello sfortunato fenicottero e comincia a trascinarlo al largo tra le urla disperate della bambina che cerca di raggiungerlo. Il padre e il nonno urlano saggiamente di lasciarlo andare ma la bambina piange come se le avessero strappato il cuore, io in piedi sul molo mi guardo bene dal formulare anche il minimo pensiero di immolarmi per quell’orrendo gonfiabile fuori misura e fuori da ogni senso estetico ma non faccio in tempo a girarmi che un bambino di 8 anni si fa prendere dalla sindrome dell’eroe e subito si butta a mare per inseguire il fenicottero che ormai veleggia lontano. Tutto rimane ancora sotto controllo in quanto dopo poche bracciate il novello cavalier servente desiste stancato dall’impresa superiore alle sue forze sotto allo sguardo severo della bambina che già si forma le sue idee sul valore e sull’affidabilità delle promesse degli uomini. Ovviamente il destino è in agguato e all’inseguimento del fenicottero maledetto si lancia mia figlia, testarda e tenace come tutte le donne. Da subito sono consapevole che non desisterà mai una volta iniziata l’impresa e anche il mio ego mal sopporta il fatto di essere stato sopravanzato da due bambini, di cui una porta i miei stessi geni. All’urlo “lasciate stare, ci penso io” mi butto con un tuffo a testa di pregevole fattura e inizio a nuotare a stile mentre il maledetto gonfiabile sta raggiungendo il limite delle acque territoriali.

A questo va aggiunto che io non sono propriamente un gran nuotatore, simulo la mia incapacità con un discreto stile libero bello a vedersi ma totalmente inefficiente dal punto di vista energetico, caratteristica che fa il paio con la mia indole da scattista e per niente compatibile non dico con il fondo ma neanche con il mezzo fondo…

Vado tranquillo per iniziare, solo braccia mentre ogni due o tre respiri alzo la testa per vedere dove sta il maledetto che sembra avvicinarsi con estrema lentezza.

Accelero, supero mia figlia intimandogli di desistere e mentre rimetto la testa sotto faccio entrare le gambe, sento di andare bene ma il fenicottero, che Dio l’abbia in gloria rapidamente, continua a veleggiare verso l’Albania. Accelero ancora, comincio a riflettere sulle energie rimaste da dosare mettendo anche in conto l’enorme figura di merda di dover desistere ma per il momento non mollo, novello capitano Achab alla caccia di uno stramaledetto fenicottero rosa.

Non manca poi molto ma mi sento stanco, mi rincuora il fatto che una volta raggiunto potrò usare il materassino per riposarmi, sollevato da questo pensiero faccio l’ultimo sprint, mentre nuoto sento il cuore battermi forte nelle tempie e persino nella punta degli alluci ma alla fine l’agguanto, mi scappa dalle mani, ad una pacata e sommessa bestemmia segue l’ennesima bracciata che mi porta ad abbracciare il maledetto fuggitivo.

Sento in lontananza portati dal vento lo scrosciante applauso e i ringraziamenti, il mio onore e il mio ego sono salvi, mi rigiro e inizio a nuotare lentamente verso riva ma non faccio che pochi metri prima di incontrare il papà della bambina che mi aveva ormai raggiunto. Mi ringrazia e mi strappa il fenicottero dalle mani, maledetti e ingrati entrambi, lasciandomi solo e sfinito a una non precisata distanza siderale dalla riva. Mi maledico più volte, insieme a tutte gli improperi possibili ai costruttori di gonfiabili da spiaggia e lentamente guadagno la riva alternando una specie di stile a rana, cagnolino e cadavere galleggiante…

Una volta arrivato mi ricordo a fatica chi sono e cosa ci faccio spiaggiato su quel molo mentre tutti mi ringraziano; cerco di ricomporre il mio fisico, la mia espressione e la mia dignità: fallisco in tutti e tre gli intenti e rantolando come un mantice rotto raggiungo lentamente e quasi a carponi il mio lettino dove mia moglie mi guarda senza capire la ragione di tanta stanchezza.

Arriva mia figlia: “Bravo papà, sei stato grande, io non ce l’avrei mai fatta”

“ma va@#n¶ulo”

“che hai detto papà?”

“Niente amore, niente”

Poi svengo.

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