Pausa pranzo dedicata alla palestra: 15 minuti per andare e tornare, 10 per cambiarsi e ricambiarsi e 5 per la doccia; rimangono 30 minuti appena sufficienti per allenare un gruppo muscolare grande e uno piccolo.
Passo svelto, la mente già rivolta agli esercizi che mi aspettano, mancano pochi metri all’ingresso quando mi accorgo di lei che mi precede e dalla borsa con il logo della palestra capisco che condividiamo la stessa destinazione.
Sui 30, decisamente in forma, bionda, capelli raccolti apparentemente in una coda di fortuna che uno sguardo più attento dimostra una precisione costata almeno 30 minuti di spazzola e lacca.
Vestita casual, da lontano potrebbero sembrare anche jeans normali ma a ben guardare la cosa più economica che ha addosso è probabilmente l’abbonamento annuale della palestra.
Parla al telefono, ovviamente l’ultimo modello di iPhone, arrivata all’ingresso apre la porta con un gesto e un modo che solo alcune donne sanno fare, il tutto solo per lasciarla andare con un raro tempismo in modo che mi si chiuda in faccia.
Arrivata al tornello inizia a cercare la tessera, senza smettere di parlare al telefono con la mano libera estrae della borsetta quello che sembra un sottile portafoglio che inizia ad aprire fino a trasformarlo in un parallelepipedo dalle dimensioni di una scatola di scarpe.
Non volendo essere invadente ma anelando comunque a non perdere parte del mio prezioso tempo mi esibisco in un moderato colpo di tosse, dal mio personale campionario ne scelgo uno delicato ma deciso.
Niente, la ragazza deve avere problemi di udito visto che non reagisce in nessun modo, neanche al mio secondo tentativo che per pressione sonora fa sobbalzare le ragazze della reception.
Il mio personale fastidiometro inizia a muoversi.
Mentre fruga senza soluzione di continuità mi avvicino in modo da entrare nel suo campo visivo senza ovviamente invadere il suo spazio vitale.
L’idea che non veda bene nata nel momento in cui mi ha lanciato la porta in faccia trova riscontro nel momento in cui, nonostante sia letteralmente davanti a lei, continua a non guardarmi.
Cieca oltre che sorda, il fastidiometro inizia decisamente a salire.
La tessera non si trova, dallo strano oggetto che in origine era un portafoglio si aprono a ventaglio dei porta tessere che si srotolano fino a terra liberano un paio di dozzine di carte che si spalmano sul pavimento.
Si china con rara eleganza e con la straordinaria capacità di continuare a impedire l’ingresso a chiunque appartenga alla fila che nel frattempo si è creata mentre raccoglie le tessere cadute.
Niente da fare, posa quello che era il portafoglio sul tornello ed inizia ad armeggiare con la borsetta che tramite l’apertura di un numero imprecisato di cerniere si trasforma in un trolley che non verrebbe accettato da nessuna compagnia area da dove inizia ad uscire di tutto.
Il fastidiometro è arrivato a fondo scala, complici i 5 minuti che sono nel frattempo passati, chiedo con tutta le gentilezza di cui sono capace se per caso posso passare ma vengo ancora ignorato, il sottoscritto per lei semplicemente non esiste nel suo universo, destino credo condiviso da quasi tutta l’umanità.
Colgo al volo un suo minimo spostamento e mi infilo nell’esiguo spazio lasciato tra lei e il fornello, nel fare questo urto involontariamente la sua borsa da palestra, all’improvviso prende coscienza dell’universo che la circonda e mentre mi fulmina con lo sguardo mi dice: “non c’è bisogno di essere maleducati, basta avere un po’ di pazienza”.
Ricaccio a forza le parolacce che si affacciano alla mia mente, ricambio lo sguardo sprezzante e chiedendo con ostentata finta gentilezza “permesso” riesco finalmente a entrare mentre la ragazza continua imperterrita a cercare il badge che continua a non trovarsi nonostante abbia praticamente svuotato sia il trolley che la scatola delle scarpe, una volta una borsetta e un portafogli rispettivamente.
Appena entrato vedo per terra, nascosta dalla struttura del fornello, una tessera della palestra, probabilmente caduta poco prima alla ragazza che non vede e non sente…
Mi fermo, per un attimo accarezzo l’idea di raccoglierla, poi incrocio lo sguardo delle ragazze della reception e quello delle persone che sono ancora in fila nel tentativo complicatissimo di guadagnare il tornello mentre la ragazza continua imperterrita a occupare l’ingresso del tornello cercando come se nulla intorno a lei esistesse o importasse ignorando con rara capacità lo sguardo pieno d’odio degli altri.
Il dubbio rimane un istante, con il piede spingo la tessera ancora più lontano dal suo possibile sguardo, saluto bofonchiando qualcosa che è a metà tra un insulto e un saluto e vado ad allenarmi, per il tempo che mi resta.
Chissà se la ritrovo ancora lì quando esco…